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Padre Gambetti: anche politica vinca paura dell'altro

di Redazione
Credit Foto - Roberto Pacilio

Ministro Di Maio, Rappresentanti di Poste Italiane, giornalisti e amici qui presenti, vi porto il saluto di Frate Francesco: il Signore ti dia pace!

Nel ringraziare il Ministro Luigi Di Maio, mi è gradito proporre una breve nota a commento della giornata di oggi, nella quale vorremmo scrivere insieme una nuova e importante pagina per il nostro Paese. Sono passati 800 anni da quando Francesco si imbarcò alla volta dell’Oriente. La V crociata stava lasciando sulla terra sangue cristiano e sangue musulmano. Sangue di persone, prima di tutto.

A Damietta, in Egitto, il Poverello giunse faccia a faccia col sultano Malik al-Kamil. Le cronache parlano di un dialogo rispettoso e denso; nessuno dei due abdicò alla propria fede, ma non rinunciò alla possibilità di un confronto che si protrasse «per alcuni giorni».

Oggi, con la presentazione del francobollo che riproduce l’affresco di Giotto della Basilica Superiore di Assisi - “Francesco davanti al Sultano” - e con l’annullo filatelico, celebriamo un incontro che ha segnato una svolta nel modo di concepire il confronto tra religioni, civiltà, culture e mentalità diverse.

In tal senso, nella storia recente, merita una particolare menzione la dichiarazione Nostra Aetate, promulgata il 28 ottobre 1965 dal Concilio Vaticano II. Grazie ad essa, è stata impressa una forte accelerazione al dialogo tra Cristianesimo e Islam nella direzione tracciata da Francesco e dal Sultano a Damietta. Infatti, i padri conciliari, nel prendere in esame le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, asserirono la necessità di voltare definitivamente pagina nei rapporti col mondo musulmano: «Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani il sacrosanto concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e a promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Inaugurarono così un tempo nuovo.

A quella fondamentale dichiarazione si sono succeduti diversi passi nella via del dialogo. Ne richiamo alcuni, accomunati dal fatto che sono “la prima volta” nella storia.

Giovanni Paolo II il 6 maggio 2001 è il primo pontefice ad entrare in una moschea. Lo fa a Damasco, in Siria, dove lo accoglie e lo accompagna per un’ora e mezza il gran muftì di Siria, Ahmed Kaftaro. Ai paesi musulmani chiede libertà religiosa per tutte le religioni. Bisogna vivere insieme, l’alternativa sarebbe il male, la guerra, la pulizia etnica. Invece di scontrarsi, cristiani e musulmani dovrebbero “stimolarsi reciprocamente nel compiere opere di bene”, come aveva detto a Casablanca, in Marocco, nel 1985 nel corso del più grande incontro mai avuto da un pontefice con folle islamiche.

Nel 2006, anche Benedetto XVI si toglie le scarpe per entrare nella Moschea Blu, il più importante tempio musulmano di Istanbul. Attraversa gli ampi spazi della moschea accompagnato dal Gran Mufti di Istanbul Mustafa Cagrici e si ferma davanti al Mihrab, l'edicola islamica rivolta in direzione della Mecca, verso la quale rivolgono le loro preghiere i fedeli musulmani. È il 30 novembre 2006, pochi mesi dopo il “cortocircuito di Ratisbona”, dove nella sua lectio magistralis, a partire da una citazione del Corano – “Nessuna costrizione nelle cose di fede” (sura 2, 256) –, aveva sostenuto che, come la violenza per motivi di religione e la guerra santa sono ingiustificate, così “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Le polemiche sorte in seguito a report giornalistici e sintesi di agenzie non fedeli al senso del discorso sono inaccettabili.

Su questa strada del dialogo arriviamo a pochi giorni fa, all’incontro di Papa Francesco ad Abu Dhabi, la prima volta di un pontefice negli Emirati Arabi. Qui, dopo alcuni momenti di confronto, Bergoglio e il grande imam di al-Azhar, Ahmad Muhammad Al-Tayyib firmano il documento sulla «Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». Un testo che può cambiare la storia dell’umanità, indirizzandola verso un futuro di riconciliazione e di pace.

Con l’annullo filatelico di questo francobollo, vorremo dire innanzitutto che anche per ciascuno di noi è giunta l’ora della prima volta. Non possiamo, non dobbiamo più girare lo sguardo dall’altra parte. Davanti alle differenze è facile reagire urlando, fuggendo o aggredendo. In tal senso, la storia dell’uomo è ricca di testimonianze, come lo è il mondo animale. Tuttavia, c’è un altro modo, pienamente umano, di reagire: vincere la battaglia contro la paura. È necessario levare gli occhi e guardare l’altro in volto: è nostro fratello, qualsiasi colore abbia la sua pelle, qualsiasi sia il suo credo religioso.

Guardiamo avanti, guardiamo le persone negli occhi per camminare lungo percorsi di riconciliazione, nei quali va evitato il non detto – pensieri, atteggiamenti, fatti del passato che, magari dati per scontati, potrebbero intralciare il necessario reciproco rispetto, fondamentale per il dialogo – e va perseguito il bene comune. Una via che chiede accoglienza, conoscenza dell’altro e libertà interiore; una via di ricerca della verità attraverso il confronto e il dialogo. Sono queste le strade da percorrere anche per la politica, ad ogni livello.

In quest’ottica, speriamo che questo francobollo possa servire per stimolare a scrivere ed inviare nuovi messaggi di pace, di fratellanza, di benevolenza per l’altro. Siamo convinti, infatti, che a distanza di otto secoli la profezia di Francesco è più che mai valida per il futuro.

Grazie.



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